Tipologia
Libro, Esperienza vissuta
Esistono storie d’amore che raccontano l’amore e altre che diventano testimonianze. Storie in cui il sentimento, la passione, il desiderio (tenaci e irreprimibili) sovvertono costumi, società, famiglie, diritti.
Come per Giuseppina e Raphaelle che hanno 18 e 19 anni e in una mattina di maggio del 1982, sulla spiaggia francese di Mesnil-Val, su “una distesa infinita di ciottoli grigi”, scoprono, stupite, di amarsi.
Tutto sembra perfetto quella mattina, “il corpo, la meraviglia, i gesti nuovi” eppure il pensiero che sfiora Giuseppina è: “Peccato che non avremo mai figli”.
Giuseppina è soltanto una ragazza innamorata di un’altra ragazza, ma sa bene quanto “scandalosa” sia la loro relazione. E sterile. Due donne – è il suo pensiero di allora – non fanno un figlio, due lesbiche non saranno mai madri.
E quel rimpianto solca (fino alla svolta) l’intensa descrizione di una passione segreta, osteggiata, fatta di abbracci nascosti, di lacrime, di gioie, di pomeriggi di studio che diventano furtivi pomeriggi d’amore.
Giuseppina cresce a Turcoing, nel Nord della Francia, in una famiglia di immigrati siciliani, il padre comanda, la madre tesse le giornate della famiglia, le figlie devono essere belle e “tenere le gambe strette”.
I genitori di Raphaelle sono più aperti, sì, ma non verso quella relazione tanto inaccettabile da non essere, mai, nemmeno pronunciata. Peccato che non avremo mai figli è la descrizione incalzante, ironica e dolorosa dell’avventura di due giovani donne che tra lavori precari e fughe in Italia diventano una coppia.
È la memoria a volte poetica di un coming out, del coraggio di definirsi lesbiche.
E di un amore che diventa “fertile”. Perché “grazie a internet che spalanca le porte della conoscenza”, ai viaggi nei paesi dove si può accedere alle banche del seme, 35 anni dopo Giuseppina, fondatrice delle Famiglie Arcobaleno e sua moglie Raphaelle Hoedt sono felicemente madri di Lisa Marie e di Andrea, di 14 e sei anni.
Vivono al Sud, insegnano francese all’università di Salerno e la loro famiglia “omogenitoriale”, riconosciuta dallo stato italiano, è oggi il simbolo di un mondo che faticosamente cambia.
di Maria Novella De Luca